Padova: cosa vedere e dove mangiare

Suggerimenti utili per visitare Padova in un weekend

In occasione della tappa italiana a Padova della Dave Matthews Band , mi sono concessa un weekend in una delle città venete più ricche di cultura, facile da girare a piedi e internazionale. Custode della Cappella degli Scrovegni e della Basilica di S. Antonio, Padova si distingue non solo per il patrimonio artistico ma anche per la dinamica vita sociale, probabilmente incentivata dall’Università Padovana che attira studenti sia nostrani che internazionali.

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Italia, il Paese che non riconosce il valore dei creativi. Intervista alla survivor Maria La Torre, fotografa di moda

maria la torreContinua il nostro viaggio nel mondo dell’arte e del lavoro. Troppo spesso questi due termini sono estremamente lontani l’uno dall’altro, soprattutto nel Bel Paese. Fai il grafico? Non sei retribuito. Fai il copy? Non sei retribuito. E la lista è ancora lunga. Nonostante la “prassi” del non riconoscere alcun budget al lavoro creativo – celebre lo spot #coglioneno – ci sono persone che non hanno ancora rinunciato a coltivare i propri sogni e le loro aspirazioni. Continue reading

Cinemage: la prova che i sogni possono diventare realtà se perseguiti con costanza e pazienza.

5 (1)Nell’Italia degli anni ’90 c’era una credenza molto particolare sul lavoro retribuito: per trovarlo era fondamentale iscriversi all’Università. Le giovani menti fresche di maturità e certe di questo “dogma”, si districavano tra prove di ammissione e information day alla ricerca degli Atenei più conformi alle loro attitudini. Il “dogma” però non era chiaro su alcuni punti che, ahimè, sarebbero venuti alla luce solo in un secondo momento. Le facoltà che avrebbero portato lavoro e guadagno agli studenti freschi di studi erano solo poche elette: giurisprudenza, ingegneria, economia e, anche se con meno adesioni rispetto alle precedenti, chimica. Continue reading

Oltre il pop c’è di più: campagna di educazione musicale che bandisce il pop

Fenisia 2Le radio trasmettono pop, le case discografiche producono pop, la maggior parte del pubblico italiano ascolta solo musica pop. Partendo dal presupposto che non ho nulla contro queste genere, è indubbio come la sua massiccia presenza nel Bel Paese impedisca la trasmissione e la conoscenza di altri generi musicali – e non venite a dirmi che Vasco e Ligabue fanno la differenza, hanno appeso il rock al chiodo e adattato il loro stile in base a quello che il “mercato principale” richiede. La mia ambiziosa campagna Oltre il pop c’è di più vuole portare in luce l’esistenza di altre sonorità completamente sconosciute alle orecchie del pubblico radiofonico, costretto ad ascoltare ripetutamente le principali Hit del momento (ovviamente catalogabili nella sfera del pop). Sperimentazione e mescolanza sono le parole chiave di ogni mercato discografico che si rispetti e di questa campagna, come amo ironicamente definirla. E non esiste modo migliore di investigare nuovi generi se non quello di chiedere direttamente alla fonte. Dopo l’intervista al promettente batterista dell’Umbria Jazz e al re della fisarmonica, è giunto il momento di passare al terzo capitolo di questa vicenda: il metal. Non essendo un’esperta in materia – ci tengo a presentarvi solo fonti di prima scelta – ho fatto il terzo grado al gruppo metal, rigorosamente nostrano, che da mesi controlla i primi posti della classifica Reverbnation e che a breve si esibirà al Rometal MMXIV, festival capitolino dedicato al metal: i Fenisia. Il leader del gruppo, Nic Ciaz, ci ha raccontato chi sono i Fenisia e perché hanno scelto di fare metal in un mondo pop.

ps: astenersi dalla lettura se votati al pop

Domanda di routine: chi sono i Fenisia?

Nic Ciaz, voce e chitarra solista; Lian Ciaz, chitarra ritmica; Liquido, bassista; Tig Smith, batterista (ndr, sono dei nomi d’arte ovviamente).

Come e quando nasce il gruppo?

Tra il 2007 e il 2008, è stato come rinascere. Infatti le basi dell’ attuale formazione provengo da un passato ormai lontano, è questo uno dei principali motivi per cui abbiamo scelto di chiamarci Fenisia. Ovviamente il nome del gruppo deriva da Fenice, più precisamente ci siamo ispirati al luogo immaginario dove muore e poi risorge. 

Perché avete scelto di fare metal in un contesto musicale in cui a farla da padrone sono sonorità più morbide?

Proprio per distinguerci potrei rispondere, ma in realtà non è così. Stiamo facendo esattamente ciò che amiamo fare di più: creiamo e suoniamo quello che ci ha sempre affascinato, un hard rock ai confini con il metal. Il resto sarebbe stato solo una costrizione, uno sforzo che quasi certamente non ci avrebbe portato da nessuna parte e che, probabilmente, ci avrebbe diviso. È noto infatti che le vere passioni accomunano le persone e spesso generano legami indissolubili, come è successo a noi.

In una recente intervista per Tempi Dispari avete dichiarato di fare “metal illuminista”. Potete spiegare meglio il concetto?

Per quanto arduo è sempre un piacere rispondere a questa domanda. Sappiamo che in un brano ci sono due fondamentali contenuti: la melodia e il testo. Quest’ultimo, per quanto ci riguarda, ne è anche la filosofia e il pensiero della band. La combinazione del sound, che verte in un hard rock a sfondo metal, affiancata ad un ideale che trae le sue origini dalla razionalità, figlia dell’Illuminismo, genera il nostro Enlightened Metal. Inoltre, il concetto illuministico ci accompagna a partire dal nostro nome e dalla celebrazione della Fenice. Se da un lato la simbologia è affine all’essere unici nel proprio vivere e creare, di Fenice ne esiste sempre un unico esemplare e da qui l’appellativo “semper eadem” (sempre la medesima). Senza contare che la mitologia incorona l’uccello sacro come emblema della Sapienza e le nostre idee sposano perfettamente questo pensiero. Il tutto sfocia poi nel motto illuministico di Immanuel Kant “sapere aude” (il coraggio di essere saggio). Diciamo che tutti i testi dei Fenisia si sviluppano intorno alle idee di questo movimento. In particolare l’album Lucifer racchiude il pensiero illuminista: dieci brani dal sapore melodico del Southern Rock, contornati da un Metal possente e costellato di messaggi affini alle radici delle idee illuministe e scientifiche.

Siete tra i primi posti in classifica su Roma secondo i dati di Reverbnation. Oltre a una maggiore visibilità, quali altri incentivi vi ha permesso di raggiungere questo risultato?

Un’ottima connessione tra i nostri siti e il pubblico di internet. Tutte le news sul gruppo raggiungono velocemente i siti interessati. L’ interazione istantanea è necessaria per farci conoscere e Reverbnation si è dimostrato uno strumento fondamentale in questo senso.

Soddisfiamo la curiosità dei vostri fan. A quando il prossimo album?

Il prossimo album uscirà ad ottobre, preceduto da un video e da due live che utilizzeremo per presentarlo al pubblico. Naturalmente è incentrato su concetti di stampo illuminista, come era già successo per Lucifer. Il nome sarà Fenisia Cafè, proprio come i luoghi – il principale era il Cafè Le Procope di Parigi – dove i fondatori dell’illuminismo, in segretezza, si incontravano e si consultavano.

Sogno nel cassetto di una rockstar?

Senza essere pretenziosi e scontati, direi che una bella tournée negli Stati Uniti sarebbe un grande risultato e un’ immensa soddisfazione.

 

Per essere sempre aggiornati sull’attività dei Fenisia consultare il sito http://www.fenisia.com/

 

Alla prossima puntata della campagna non convenzionale Oltre il pop c’è di più

 

Il re della fisarmonica: Marco Lo Russo prosegue il suo tour mondiale

Marco Lo RussoWorld MusicTango, Jazz, elettronica. Sonorità completamente slegate tra di loro e solo un nome a unirle: quello di Marco Lo Russo. Musicista di fama internazionale – vanta collaborazioni con artisti del calibro di Nicola Piovani e Leo Brouwer –, Marco Lo Russo è continuamente in bilico tra il palcoscenico e le quinte: a volte si esibisce da protagonista, altre accompagna sulle note della sua fisarmonica gli artisti da lui prodotti. Recentemente il musicista ha fondato una sua produzione musicale, Rouge, portando in auge artisti di talento come la polacca Agnieszka Chrzanowska, la francese Eva Lopez e la cantante dance In-Grid. Un artista eclettico che ha deciso di provare tutte le vesti della musica: da fisarmonicista a compositore, da arrangiatore a produttore, da musicologo a docente di conservatorio e, infine, produttore.

Numerosi premi costellano il suo percorso musicale – tra i più recenti ricordiamo il Premio Nino Cepollaro e il Premio Speciale Cultura Albatros – e l’artista non sembra voler arrestare la sua ascesa nel campo. <<Marco Lo Russo ama la musica – dichiara la critica russa Dina Mukhamedzyanova – perché è il linguaggio attraverso il quale esprimere se stesso>>. E dopo averlo intervistato non posso che confermare queste parole. 

Marco Lo Russo, un’eccellenza del Made in Italy che piace tanto all’ estero. È da poco nato un tuo funclub internazionale (fondato da fans inglesi e statunitensi): ricevi maggior riscontro di pubblico all’estero o in Italia?

MLR: Sinceramente viaggiando così tanto non è facile orientarmi. Mah, a parte gli scherzi, il riscontro è sempre positivissimo sia in Italia che all’estero, con delle piccole differenze. Il mio percorso artistico è sicuramente outside rispetto ai tradizionali step della World Music/Jazz e della musica Classica e questo comporta già di per se fatti fuori dai canoni. All’estero la cosa che trovo molto interessante è l’eterogeneità del pubblico partecipante. È fantastico trovare ai miei concerti amanti del Rock/Metal, cultori del Jazz, della musica Classica e cantautori impegnati. Quello che mi affascina è la curiosità, il senso critico e la ricerca di proposte sempre innovative con cui si pone il pubblico all’estero, alimentando continuamente la mia creatività e il desiderio di espressione.

Sappiamo che hai in serbo numerose esibizioni e progetti nel campo del cinema. Puoi darci qualche anticipazione?

MLR: Tra i principali live internazionali in programma sono lieto di prendere nuovamente parte al Festival Internazionale di Musica da Camera Leo Brouwer che si terrà gli ultimi di settembre e la prima settimana di ottobre a Cuba. Molto probabilmente a fine ottobre farò nuovamente ritorno in Sud America per un nuovo progetto. Attualmente sto preparando il nuovo concept per fisarmonica ed elettroacustica e, contemporaneamente, sto lavorando alla composizione di due colonne sonore. La prima per un film indipendente negli USA in veste di co-compositore e performer, la seconda, interamente a mia cura, farà da cornice ad una pellicola che sarà presentata al Festival di Berlino e al Festival di Cannes il prossimo anno. Per scaramanzia non vorrei aggiungere altro però.

Hai da poco fondato una tua produzione artistico/musicale con uno studio di registrazione: Rouge (Rouge Sound Production). Dopo il successo del singolo Nostalgia i Ty con Agnieszka Chrzanowska, quali altre produzioni hai in serbo per il nuovo anno?

MLR: Sono molto contento di questo passo che ho intrapreso, sempre con molta umiltà, perché mi permette di svincolarmi dai classici tempi full immersion di produzione. Nel mio studio riesco a levigare la materia con tempi strettamente personali. Attualmente sto lavorando a diversi progetti con artisti stranieri, ma non voglio ancora svelare la loro identità, sarà una sorpresa .

La tua musica è stata definita sacra e profana allo stesso tempo. E al sacro sei profondamente legato. Dopo esserti esibito per Papa Francesco, Papa Benedetto e per l’Ostensione della Sacra Sindone nel Duomo di Torino in mondovisione, è previsto un concerto a Roma nella Basilica di Santa Maria in Aracoeli con Agnieszka Chrzanowska (patrocinato dell’ambasciata Polacca presso la Santa Sede Vaticana) in occasione dell’inaugurazione del Museo Casa Natale di Papa Giovanni Paolo II. Come nasce la tua musica in relazione alla sfera sacra?

MLR: Il proprio cammino personale è di per se sacro. La ricerca sul dove andare e la direzione da prendere parte da una profonda consapevolezza sul senso del mistero. Sapere chi e cosa si è non può prescindere dalla conoscenza, dallo studio e dalla ricerca sulla tradizione, ma questo non basta. Provenendo da una preparazione classico accademica le mie ricerche partono sempre dallo studio delle tradizioni, dell’antropologia, dagli usi e costumi. Tutto questo deve vivere in comunione con fede e rispetto verso il creato. Il desiderio e lo scopo creativo mi spinge in molteplici direzioni con un mix di ricerca che sposi il presente e il passato con risultati molto affascinanti, accompagnati però sempre dalla fede. Per me la musica è uno strumento di descrizione interiore e essa non ha relazione in merito alla sacralità ma ne è un tutt’uno.

Tra i tuoi lavori vanti numerose collaborazioni di genere, come Italian Jazz Cocktail. Sai districarti agevolmente tra più stili musicali. Tra questi quale preferisci e, se ci sono, hai altre collaborazioni in serbo?

MLR: Come disse Rossini e non solo lui, la musica esiste solo di due tipi: bella e brutta. Le mie preferenze musicali sono molto diversificate semplicemente per pura curiosità. Sono molto curioso della vita e in particolare della materia sonora. Questo mi spinge a cercare, ascoltare e guardarmi continuamente intorno. Se proprio dovessi dare una direzione ai miei gusti personali direi che prediligo i linguaggi improvvisati (Jazz e affini). Tra i diversi progetti ho in serbo un disco totalmente dedicato alla canzone e alla chanson con l’artista italo francese Robert MC Brillant.

Passiamo a delle domande più crude. Il mercato musicale italiano – tendenzialmente orientato a sonorità pop – risponde positivamente a un genere particolare e, riprendendo le parole del critico Max Sannella in riferimento all’album Modern Accordion, che ha il “gran gusto della classe” come il tuo?

MLR: Il mercato musicale italiano in realtà non è un mercato. La parola stessa mercato prevede uno scambio che, se pur esiste in puri termini merce-soldi, è totalmente assente per quanto concerne la scelta del materiale. Noi acquistiamo e ascoltiamo quello che più ci è familiare, ma quello che ascoltiamo è imposto e non scelto volontariamente. Ascolto molto la radio, ma soprattutto nelle ore notturne, in cui esiste un mercato e di gran classe. Fortunatamente la distribuzione online facilità la diffusione anche di altri generi e questo permette di veicolare prodotti artistici anche come i miei – sicuramente più di nicchia – con molta facilità. Personalmente posso dire di avere un riscontro positivo dal punto di vista delle vendite sul mercato italiano e anche durante i concerti ho riscontrato un consenso di pubblico unanime. Mi capita spesso di sentire a fine concerto: “non pensavo che con la fisarmonica si potesse fare anche questo!”.

La “musica è il mezzo attraverso il quale esprimere se stessi”. Come hai capito che la musica sarebbe stata la tua strada?

MLR: In realtà ho intrapreso per caso il mestiere di musicista ed è stato come trovare “il letto migliore nel quale dormire”. Ti senti bene e appagato. Grazie alla musica ho questa sensazione di benessere che cura l’anima. Scoprire la musica è stato il passo che mi ha permesso di capire che l’arte delle sette note sarebbe diventata la mia strada umana ed emotiva.

Quando hai iniziato il tuo percorso da musicista ti sei discostato dai classici strumenti e hai preferito approfondire lo studio della fisarmonica. Come mai questa scelta particolare e, considerati i risultati, vincente?

MLR: Non sono un tipo abitudinario e per indole adoro la ricerca. La fisarmonica è stata una scoperta bellissima, nata per caso: piaceva a mia nonna materna. Quando mi sono reso conto che non è lo strumento che crea, ma chi suona lo strumento, tutto è stato fluido e naturale. Il fatto di suonare la fisarmonica, pur se all’inizio poteva essere anche motivo di derisione da parte dei miei coetanei, è stata sicuramente la mia particolarità. Non ho mai pensato di essere un fisarmonicista, ma semplicemente un amante della musica.

Domanda di routine per ogni musicista che passi dal mio blog. Una possibile soluzione per aprire il mercato discografico italiano a nuovi generi musicali?

MLR: E’ tutto un fattore di necessità. Se una cosa diventa necessaria sarà ricercata. Fino al momento in cui non si svilupperà il desiderio di ascolto – e non il semplice sentire – sarà difficile. Ma non impossibile. Basterebbe poter effettuare, attraverso i mass media, delle programmazioni musicali diversificate il più possibile. In questo modo sarebbe possibile scegliere veramente con coscienza e, soprattutto, senza nessun tipo di strumentalizzazione.

Se potessi dare un consiglio a un giovane musicista italiano, cosa gli suggeriresti per la sua formazione?

MLR: Quello che direi a un calciatore. Vuoi giocare?  Bene, gioca dalla mattina alla sera. Vuoi suonare? Allora suona dalla mattina alla sera! A parte gli scherzi, sicuramente frequentare dei corsi in Conservatorio per avere una solida base di conoscenza accademica e, soprattutto, suonare insieme ad altri nelle situazioni e nei generi più diversi sono le soluzioni migliori per diventare un buon musicista. Tutti possono avere talento e gusto, ma per divenire un professionista si necessita di molta esperienza sul campo, possibilmente con l’ausilio di altri musicisti. Solo il sano confronto ci porta a crescere e a diventare ogni giorno persone migliori e un giorno, forse, anche artisti migliori.

Per essere sempre aggiornati sull’attività di Marco Lo Russo è possibile consultare il sito http://www.marcolorusso.com

Ricordi estivi

Ricordi estivi

Le vacanze volgono al termine e per non dimenticarle ho immortalato ogni istante di questa (piovosa!) summer 2014.

Piccola anteprima – perdonate la scarsa qualità dell’immagine, i cellulari fanno quel che possono – con vista sul mare…dove sono?

A breve vi svelerò il segreto 😉

 

the blue“Un diamante è per sempre”. Così recita un celebre slogan pubblicitario, suggellando nell’immaginario  comune il valore inestimabile di questa pietra preziosa e la sua longevità. Gli anni passano, i proprietari della gemma cambiano, ma lei è sempre là, immutabile nel valore e nell’aspetto. Questo è più o meno la storia di ogni gemma, ma non quella di The Blue, il diamante “maledetto” più grande del mondo. Recentemente la pietra è stata venduta dalla celebre casa d’aste Christie’s alla gioielleria Harry Winston – già proprietaria della Swatch group – per 23,795 milioni di dollari. Un affare vantaggioso o dannoso per la gioielleria? Gli azionisti della Harry Winston probabilmente non hanno indagato a fondo sulla storia che si cela dietro The Blue, ammaliati dal suo aspetto impeccabile. Sin dal giorno in cui fu scoperto in India – grazie all’esploratore Jean Baptiste Tavernier nel diciassettesimo secolo – il diamante ha sempre segnato la sventura dei suoi proprietari. Tavernier trafugò la gemma da un idolo indiano e la portò in Francia, dove fu acquistato da Re Luigi XIV che, successivamente, ridusse le sue dimensioni  da 112 carati a 67,5, per intagliarlo a forma di goccia e donarlo alla sua protetta, Madame De Montespam. Subito dopo aver ricevuto il dono però, la nobile uscì dalle grazie del re e la pietra preziosa finì nelle mani di Nicolas Fouquet, responsabile delle finanze francesi. Quest’ultimo fu ben presto arrestato per truffa e il diamante fece ritorno a corte, custodito dalla regina Maria Antonietta in persona. Anche in questo caso la storia ci insegna che la sovrana e il suo consorte non ebbero una vita felice, ne tantomeno una fine pacifica. Dopo la morte della famiglia reale si persero le tracce della gemma, finchè, nel 1824, ricomparve tra le mani del banchiere Henry Thomas Hope che lo ribattezzò Blue Hope. In seguito il diamante fu ereditato da altri sventurati proprietari – dal sultano Adul Hamid II, spodestato di tutti i suoi averi, a Mrs Evalyn Walsh McLean, suicida nel 1947 – finchè il collezionista di gioielli Henry Winston lo donò allo Smithsonian Institute di Washington, luogo in cui è rimasto esposto fino a poco tempo fa. Verità o leggenda? Solo il tempo potrà darcene conferma.

Il pianeta diamante

Si trova a quaranta anni luce di distanza dalla Terra il pianeta composto da diamanti. La scoperta è stata fatta dai ricercatori del Centro per l’astronomia e l’astrofisica dell’Università di Yale. <<La superficie di questo pianeta è probabilmente coperta di grafite e diamanti – ha dichiarato Nikku Madhusudhan, a capo della ricerca – piuttosto che da acqua e granito>>. Sfortunatamente per gli amanti delle pietre preziose il pianeta non presenta le condizioni per poter essere abitato: ha una temperatura che sfiora i 2.500 gradi e il suo anno dura appena 18 ore contro i 365 giorni della Terra.